Margarita

margarita cocktail reporter

Bicchiere : Coppetta

Metodo : Shake & Strain

Decorazione : Spicchio di Lime e Bordatura di Sale

Ingredienti :

  • 60 ml di Tequila blanco 100% agave
  • 22 ml di Triple Sec
  • 22 ml di Succo fresco di Lime
  • 5 ml di Nettare di Agave (opzionale)

Preparazione :

È necessario ghiacciare anticipatamente la coppetta nel freezer, una coppetta raffreddata al momento con acqua e ghiaccio si presenterà brinata, o comunque umida all’esterno e renderà più complicato fare il crusta di sale al bicchiere.

Inumidite con un pezzo di lime il bordo esterno della coppetta e poggiatelo delicatamente in un piattino con del sale, bordate soltanto metà bicchiere in modo da lasciare la scelta se bere dalla parte con sale oppure no.
Personalmente preferisco spargere a pioggia il sale sul bordo con un cucchiaino oppure con una saliera, in modo tale da creare un effetto più uniforme e bello da vedere. Ricordate che il crusta deve restare sulla parte esterna perchè eccessivo sale all’interno del bordo del bicchiere e quindi nel drink, ne contaminerebbe decisamente il sapore.

Versate gli ingredienti in uno shaker e riempite con ghiaccio (colmo se usate cubetti regolari, oppure solo un cubo intero e magari uno rotto in pezzi se usate ghiaccio cristallino dalle dimensini più grandi).
Agitate vigorosamente per 10-15 secondi, il tempo di shakerata influisce sul raffreddamento e sulla diluizione, quindi è bene regolarsi in base al tipo di ghiaccio che si utilizza.
Filtrate nella coppetta utilizando sia lo strainer che un colino a maglia fine, per trattenere le schegge di ghiaccio.
Decorate con uno spicchio di lime e servite.

Note sugli ingredienti :

Il Margarita è un classico senza tempo, dalla preparazione semplice che unisce il sapore del lime e la dolcezza del liquore all’arancia con il sapore vegetale distintivo del tequila. Ne risulta un cocktail fresco e pungente, ma anche gradevole e raffinato, vivace, asciutto e citrico con una complessità di gusto che viene esaltata da un tocco di sapido e una “scossa” alcolica che vi aspetta in agguato.

La migliore riuscita di questa ricetta sta nella scelta del Tequila, la qualità è la chiave. L’unico tequila che vale la pena usare in un margarita, deve riportare in etichetta la dicitura “100% Agave” che garantisce uno spirito elegante e poco ruvido.
Nel dettaglio, il tequila pregiato ha in generale due stili, le piante di agave coltivate nella zona di Los Altos (regione degli altopiani) producono un tequila dal sapore spinto con un profilo terroso, pepato ed erbaceo, mentre le agavi della valle delle pianure producono un tequila più morbido, rotondo e floreale.

Il succo fresco di un lime appena spremuto, dà un risultato nel drink di gran lunga superiore, la scelta è tra key-lime oppure lime persiani, ma sicuramente si sconsiglia il succo di limone che renderebbe il margarita tropo delicato e darebbe poca persistenza al sapore acido.

Anche se recentemente la completa sostituzione del liquore all’arancia con il nettare d’agave è stato un trend molto seguito, per via del successo del Tommy’s Margarita, va detto che la ricetta di Bermejo è a tutti gli effetti un Tequila sour.
Diversamente il liquore all’arancia rende un margarita qualcosa di più della somma degli ingredienti e definisce il carattere del cocktail, non solo bilancia l’acidità del lime, ma dà struttura e profondità al sapore del drink.
Gli ingredienti, suggeriscono un facile rimando al Sidecar, ma un semplice adattamento con la sostituzione del brandy con il tequila rovinerebbe il bilanciamento della ricetta, che sembrerebbe “slegata”.
Il triple sec esalta notevolmente la forza alcolica del tequila, e quindi per far risaltare al meglio il distillato messicano (specialmente quando i lime presentano una spiccata acidità) si può diminuire leggermente la quantità di liquore, allo stesso modo aumentare di poco la dose di tequila e magari compensare la minore dolcezza con un cucchiaino di nettare di agave.

Il sale esalta i sapori stempera le note amare e dà all’assaggio una ulteriore dimensione.
Oggi bartenders più tecnici preferiscono usare un pizzico di sale oppure soluzione salina da mescolare nel cocktail al posto del rim sul bicchiere, per andare incontro alle preferenze dei bevitori più scettici (ammesso che ci sia ancora qualcuno scettico sul drink messicano più iconico al mondo e parer mio eccezionale).
Ma un margarita senza crusta sarebbe come un Manhattan senza ciliegina, il rim di sale è sinonimo del cocktail messicano per antonomasia ed il bevitore si aspetta di trovarlo come un marchio di fabbrica, anche se poi deciderà di bere dal lato pulito del bicchiere.

La Storia :

Il Magarita è il cocktail a base di tequila più famoso, e proprio a causa della sua enorme notorietà, è incredibile quante aneddoti, personaggi e leggende si trovino in riferimento alle origini di questo cocktail.

Le storie degli anni 30 raccontavano di un presidente di una compagnia che importava tequila in America che chiese ad un barman di Los Angeles di preparare un nuovo drink, oppure di Dona Bertha che aveva una taverna in Messico, o ancora di “Danny” Negrete che lavorava al race track di Agua Caliente non lontano da Tijuana. Negli anni 40 invece, le storie che più si raccontavano sull’origine del Margarita erano quella di Carlos Herrera, titolare del ristorante Rancho la Gloria, tra Tijuana e Rosarito, che avrebbe preparato il cocktail per l’attrice Marjorie King che aveva una particolare allergia a tutti gli spiriti tranne che al tequil, oppure quella di Margaret Sames, una donna dell’alta società americana che offrì questo drink ad un party di Natale che organizzò ad Acapulco.

Quando si parla delle origini incerte di un drink, alle volte la storia più semplice è anche quella più attendibile e i cocktail sono raramente creati in un solo preciso momento. La vera storia del Margarita si trova nella pratica di baristi e clienti che in Messico hanno fatto girare una ricetta, fino a quando qualcuno non gli ha dato un nome.
Verosimilmente durante il proibizionismo, gli americani si recavano a sud del confine per bere un riff a base di tequila del popolare Daisy, un tipo di cocktail preparato sin dai tempi vittoriani, fatto con succo di agrumi, un liquore o uno sciroppo e una base di distillato.

La ricetta del daisy con gin o whiskey era quasi sempre citata nei libri da bar, compreso il Manuale del Cantinero di E. Moreno, pubblicato per i baristi messicani nel 1910, che riportava la versione più classica con liquore all’arancia, servita direttamente in un bicchiere da cocktail e volendo con solo un po ‘di soda. Negli anni Venti la ricetta divenne un po’ più “fancy” sostituendo il liquore all’arancia con la granatina e servendo la bevanda in un bicchiere alto con una buona spruzzata di soda e abbondante ghiaccio tritato. A riprova di questo Wondrich ha scritto in Imbibe, che alla fine degli anni Venti presso l’American-financed gabling and golf resort di Agua Caliente nei pressi di Tijuana si serviva come cocktail della casa il Sunrise Tequila (tequila, lime, granatina, creme de cassis, ghiaccio e una spruzzata di soda) ovvero un tequila daisy servito alla maniera più moderna.

Poco dopo l’abrogazione del proibizionismo il tequila fece il suo debutto ufficiale negli Stati Uniti, i giornalisti ed i viaggiatori che tornavano dal Messico, raccontavano di un tequila daisy. Questo è il caso, per esempio, di James Graham, editore del giornale Moville Mail che nell’edizione del 23 luglio 1936,raccontò di un viaggio a Tijuana dove, il Turf Bar in Main Street, era noto per essere “The Home of the Famous Tequila Daisy”. Lì un irlandese di nome Henry Madden, barman e proprietario spiegò che il daisy non era un’invenzione, piuttosto solo un mero errore nel prendere la bottiglia sbagliata mentre preparava un gin daisy, ma i clienti ne restarono così entusiasti che sparsero la voce in giro.

Turf bar di Tijuana tra gli anni Venti e gli anni Trenta

Non ci è dato sapere se quel daisy fosse stato preparato alla vecchia maniera solo con un’aggiunta di seltz, oppure secondo la ricetta più moderna di Tijuana.
Ma se Madden avesse usato la ricetta vecchia scuola, a tutti gli effetti stava miscelando tequila, succo di lime, liquore all’arancia e magari uno spruzzo di soda, cioè un daisy che chiamato alla messicana si traduce “Margarita“.

Sempre nel 1936 anche il Syracuse Herald riportò il Tequila Daisy in un trafiletto.

Negli stessi anni in Europa il tequila ebbe successo con l’importazione dello spirito messicano in Inghilterra. Il “Cafè Royal Cocktail Book” di William J. Tarling del 1937 riporta un cocktail con il nome “Picador“, che visti gli ingredienti, ci dà una connotazione di come si fosse diffusa l’idea di un Tequila Daisy. A tutti gli effetti Tarling anticipò di 16 anni la pubblicazione della prima menzione scritta del Margarita del magazine Esquire.

Cafè Royal Cocktail Book” di William J. Tarling del 1937

” She’s from Mexico, Senores, and she is lovely to look at, exciting and provocative”. Non solo nel dicembre del 1953 Esquire menzionava il Margarita riportandone la ricetta (1 oz di tequila, 1 dash di triplesec e il succo di mezzo lime), ma sottolineava il successo del drink nominandolo cocktail del mese.

Esquire Magazine dicembre 1953

La domanda che ritorna frequente ogni volta che si parla del Margarita è la natura ed il motivo della bordatura di sale. L’evidente parallelo con il brandy crusta o meglio con il Sidecar, hanno fatto da guida per il rim del Margarita, che viene fatto con sale per richiamare il tradizionale rito da saloon, già di moda agli inizi del Novecento, che voleva la bevuta di un jigger di Tequila con sale seguito da una spruzzata di lime.

Alla fine degli anni ’90 Julio Bermejo, barista del Tommy’s, il ristorante messicano a San Francisco, con il suo riff che sostituisce il liquore, ha rotto la sacra trinità degli ingredienti, solo con lo scopo di esaltare l’agave. Il suo “Tommy’s Margarita“, con nettare di agave al posto del triple sec, è diventato un classico moderno, e insieme al classico Margarita ed al Paloma rappresentano le ricette a base Tequila più miscelate e servite dei nostri giorni.

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